
L’architettura come continuità: intervista a Daniele Miotto
Il racconto di un’eredità che si rinnova tra progettualità e passione per l’ospitalità
Ci sono storie che si tramandano non solo attraverso le parole, ma nei dettagli di ogni progetto, nella cura che si riserva ai luoghi e nel rispetto per una visione più grande. Quella di Daniele Miotto, ingegnere e oggi figura chiave nei progetti architettonici dell’Hotel Tritone, figlio di Francesco Miotto che abbiamo già intervistato, è una storia di continuità e rinnovamento. Un percorso professionale che si intreccia profondamente con la storia familiare e con quella di una struttura che fa dell’eccellenza e dell’armonia il suo tratto distintivo.
In questa intervista, Daniele ci racconta cosa significhi lavorare su un progetto che ha visto nascere fin da ragazzo, e che oggi contribuisce a far crescere ed evolvere con uno sguardo nuovo, giovane e al tempo stesso radicato.
Daniele, puoi raccontarci il tuo percorso e cosa ti ha portato a collaborare con l’Hotel Tritone?
Il mio percorso è iniziato con la laurea in Ingegneria Edile-Architettura, spinto anche dall’esempio di mio padre. Durante gli anni universitari, frequentavo già l’ufficio dello studio: seguivo le riunioni, respiravo l’atmosfera e la visione. Dopo la laurea ho fatto un’esperienza esterna, ma ho poi scelto di tornare per proseguire l’attività familiare.
Il primo vero cantiere che ho seguito è stato quello delle Garden Suite, nel 2017: un progetto importante, che mi ha responsabilizzato fin da subito. Ho sentito una forte fiducia da parte del team del Tritone, in particolare con il dott. Poli si è creato fin da subito un bel feeling. È stato lui a credere nel mio inserimento, così come nell’apporto di giovani professionisti come l’architetto Anna Sarcheletti, che oggi segue il design dell’hotel con grande sensibilità.
Com’è stato per te entrare in un progetto che tuo padre ha seguito per tanti anni? Hai vissuto questa scelta come una continuità naturale o una nuova sfida?
Direi entrambe le cose. È stata una continuità naturale, ma anche una sfida. Mio padre è stato bravissimo a lasciarmi spazio, permettendomi di crescere professionalmente. In altre realtà ci possono essere spesso contrasti generazionali, ma tra noi c’è sempre stata una grande sintonia, anche fuori dal lavoro: condividiamo passioni come il calcio e la montagna, e questo ha sicuramente rafforzato il rapporto.
In ufficio ho trovato fiducia e autonomia. Questo ha creato un connubio tra tradizione e innovazione: la mia generazione porta soluzioni tecnologiche, mentre mio padre ha un patrimonio enorme di esperienza pratica e capacità relazionali, fondamentali per la gestione dei cantieri e per la crescita personale.
Qual è il tuo ruolo oggi all’interno dello studio e nei progetti dell’Hotel? Ci sono aspetti specifici di cui ti occupi in prima persona?
Oggi sono il coordinatore e referente per tutti i progettisti e le imprese coinvolte nei lavori dell’Hotel Tritone. In collaborazione con il dott. Poli, recepisco le sue intuizioni e gli obiettivi della proprietà, traducendoli in soluzioni operative condivise con il team.
È un lavoro di mediazione e sintesi che valorizza ogni figura coinvolta: dall’ing. Marcolungo, ai progettisti, ai consulenti specializzati. È sempre il gioco di squadra che fa la differenza.
Quali sono, secondo te, i valori architettonici o progettuali che rendono il Tritone una struttura così riconoscibile?
L’unicità del Tritone nasce dalla visione di Walter Poli. È lui a imprimere una direzione estetica precisa, con uno stile che non rincorre le mode, ma cerca il carattere. Noi siamo come sarti: realizziamo su misura qualcosa che duri nel tempo.
Un esempio? La nuova Spa ispirata al borgo di Arquà Petrarca. È un luogo fuori dal tempo, che richiama il territorio. Nessuna Spa riprende un villaggio storico come punto di riferimento: è un modo per esprimere autenticità.
Oppure l’esagono sulla facciata: non volevamo un semplice “palazzo”, ma qualcosa di leggero, elegante, riconoscibile. Con la lamiera forata retroilluminata abbiamo ottenuto un effetto visivo forte e distintivo, soprattutto di notte.
C’è un intervento recente di cui vai particolarmente orgoglioso? Quale approccio avete seguito per integrarlo nel contesto esistente?
Ognuno dei progetti affrontati è una sfida a sé. Le Garden Suite sono state il primo intervento di grande responsabilità, ma anche le nuove vasche per i fanghi sono state molto complesse dal punto di vista organizzativo e tecnico.
La parola chiave per noi è “coerenza”. Ogni intervento non è un’aggiunta casuale, ma una parte armonica di un progetto più ampio, che si evolve nel tempo senza snaturarsi. Cerchiamo sempre di rinfrescare lo stile, mantenendo una continuità estetica e funzionale.
Lavorare in un contesto termale richiede competenze tecniche ma anche sensibilità estetica: come bilanciate questi due aspetti nei vostri progetti?
È una sfida continua. Il settore alberghiero impone regole rigide in materia di sicurezza, prevenzione incendi, igiene. Il mondo termale aggiunge la gestione di materiali, umidità, consumi. Non tutto è consentito, e a volte ci vogliono mesi per trovare la soluzione adatta.
Penso, ad esempio, ai lampadari della piscina: trovare una lega resistente all’ambiente saturo d’acqua è stato complesso. Serve un mix di tecnica e creatività, ma soprattutto perseveranza.
Com’è il rapporto con il team dell’Hotel Tritone? In che modo la collaborazione tra professionisti diversi arricchisce il tuo lavoro?
Il rapporto è splendido. Mi sento parte integrante dello staff del Tritone, e non è una cosa scontata. Si rema tutti nella stessa direzione, in un clima di fiducia e collaborazione. Questo migliora la qualità del lavoro, e anche il piacere di svolgerlo.
La collaborazione tra professionisti è fondamentale. Non esiste più la figura “tuttofare”. Ogni progetto è il risultato delle competenze specifiche di un team affiatato: l’architetto, l’ingegnere, lo specialista, ciascuno porta un valore aggiunto. È questa la forza del Tritone.
Se dovessi descrivere il Tritone in tre parole dal tuo punto di vista progettuale, quali sceglieresti?
Direi coerenza, perché ogni progetto è pensato con un filo conduttore chiaro, dall’idea iniziale fino alla realizzazione.
Poi sentirsi parte, perché coinvolge profondamente chi ci lavora, a livello personale oltre che professionale.
E infine dettaglio, perché è nei dettagli, anche quelli invisibili, che si percepisce l’eccellenza. Potrei aggiungere anche “esempio”: Walter è un punto di riferimento per tutti noi e il suo modo di lavorare lo riporto nel mio.
Un messaggio personale per gli ospiti che vivono – anche se inconsapevolmente – l’architettura che tu contribuisci a creare?
Il mio augurio è che possano godere appieno degli spazi, percependone l’ariosità e il respiro. Al Tritone si respira un senso di esclusività serena: non un lusso ostentato, ma un’accoglienza fatta di equilibrio e sobrietà.
Spero che ogni ospite possa sentirsi unico, come unico è l’ambiente che lo circonda. Come dice spesso mio padre dell’Hotel: “Apri un ripostiglio, e troverai ordine anche lì.” È questa l’anima del Tritone: la cura autentica, anche dove lo sguardo non arriva.